Alan Sillitoe, Zio Ernest

S2_T4 - Zio ErnestIl brano seguente è di Alan Sillitoe, e si intitola “Zio Ernest”. È tratto dal suo libro “La solitudine del maratoneta”, scritto nel 1959. Tratta un tema molto attuale, quello del pregiudizio. A causa di esso, un gesto di disinteressata amicizia fra individui di età diversa viene scambiato per un comportamento scorretto e pericoloso.

Ernest […] viveva alla giornata, lavorando abilmente a divani e poltrone e sofà, infischiandosene di tutti. Quando si faticava a trovare lavoro e la vita era dura, quasi non se ne accorse, e ora che stava bene e aveva soldi a sufficienza, vi trovò lo stesso poca differenza, spendendo in birra ciò che guadagnava, e mai una volta pensando che aveva bisogno d’un cappotto nuovo o d’un robusto paio di scarpe. [ … ]

Erano le undici e il caffè dal soffitto basso si stava vuotando lentamente, lasciando all’interno solo una dozzina di persone. […] Mentre lo servivano entrarono due bambine. Una sedette a un tavolo, ma l’altra, la più grande, rimase in piedi davanti al banco. Quando lui fu ritornato al suo posto vi trovò seduta la bambina più piccola. Era confuso e imbarazzato, ma nonostante ciò sedette a bere il tè e tagliò una tortina in quattro pezzi. La bambina lo guardò e continuò a fissarlo finché la più grande tornò dal banco con due tazze di tè fumante.

Sedettero a chiacchierare e a bere, totalmente dimentiche di Ernest, il quale si sentì lentamente pervadere dalla loro riservata, infantile animazione. Ogni tanto scoccava loro un’occhiata, la sensazione d’essere un intruso, pur guardan­dole, quando lo faceva, bonariamente, con occhi dolci, sorridenti. La maggiore, sui dodici anni, indossava un cappotto marrone troppo grande, e benché fosse quasi sempre lei a parlare e a ridere lui notò il pallore del suo viso e i grandi occhi tondi che avrebbe definito belli se non vi avesse scorto quella nota vivaci­ tà che esprimeva negligenza e bisogno.

La minore era meno vivace e si limitava a sorridere mentre rispondeva alla sorella con brevi secche parole. [ … ]

«Se hai dei soldi mi piacerebbe una pasta, Alma».

«Non ho più soldi», rispose con impazienza la più grande. «Sì che li hai, e a me piacerebbe una pasta» .

Ma la bambina era inflessibile, quasi aggressiva.

Per qualche istante lui non disse nulla, seduto con le nocche premute sulle labbra. «Be’, sentite», esclamò,  riprendendo a parlare all’improvviso, «io vengo qui a pranzo tutti i giorni, verso le dodici e mezza, e se mai avete fame, venitemi a trovare».

Al che le bambine acconsentirono, accettarono una moneta da sei pence per i biglietti dell’autobus, lo ringraziarono moltissimo, e lo salutarono.

Nelle settimane che seguirono vennero a trovarlo quasi ogni giorno. A volte, quando aveva pochi soldi, si riempiva lo stomaco vuoto con una tazza di tè mentre Alma e Joan saziavano la fame con cinque scellini di roba più solida. Ma lui era felice e provava un’immensa soddisfazione al vederle chine avidamente su uova, pancetta e paste, e alla fine trovò tanta gioia in quella dolcissima sensa­ zione d’aver qualcuno per cui vivere da ricordare appena i giorni solitari quan­do la sua unica speranza di poter parlare con qualcuno era di entrare in un pub a ubriacarsi. Adesso era felice perché aveva da badare alle sue “ragazze” come finì per chiamarle. [ … ]