“Il canto della pianura”, Kent Haruf

il canto della pianuraÈ la vita con i suoi volti e le sue voci ad essere protagonista assoluto del secondo romanzo della “Trilogia della Pianura” dello scrittore statunitense Kent Haruf.

Dopo “Benedizione”, primo romanzo della trilogia, il minimalismo emozionale lascia spazio a quello stilistico che sembra diventare preghiera e questa, sussurrata dalla pianura della città di Holt, si unisce al coro sofferente dei personaggi che capitolo dopo capitolo vengono presentati in attesa che la vita vera abbia inizio.

Così in “Canto della pianura”, l’immaginaria cittadina del Colorado diventa palcoscenico di uomini e donne comuni: sbrigativi nei comportamenti, rudi nelle emozioni; personaggi veri che vivono sotto il ritmo scandito di una quotidianità mossa dal vento del Nord all’interno della quale il lettore viene cullato per poter camminare lungo le stesse strade di Guthrie e dei suoi due figli, Ike e Bobby, di Victoria, Maggie Jones e dei vecchi fratelli McPheron.

Il romanzo si apre con l’immagine di un uomo, Tom Guthrie: insegnante di liceo, padre di Ike e Bobby e marito di Ella che, vittima della depressione, diventa succube di una stanza, isolandosi da marito e figli, e costretta poi a lasciare la città per trasferirsi a Denver, dalla sorella. È la volta, poi, di Victoria Rubideaux, sedicenne, incinta, cacciata di casa dalla madre e accolta da Maggie Jones: donna forte, insegnante ed amante dello stesso Guthrie. A lei il merito di aver accettato la scelta della giovane e di averla affidata ai vecchi fratelli McPheron, orfani sin da bambini e proprietari di una fattoria fuori città, che, immersi nella solitudine di campi e pascoli, hanno da sempre assecondato ogni bisogno delle loro giovenche, trascurando il loro essere uomini. L’arrivo di Victoria è la svolta necessaria alla loro monotona vita, li porta a rivalutare le priorità di un’esistenza distratta dal lavoro, ma che si fa ora carico del più dolce regalo che la vita possa fare: la creazione di legami profondi che hanno la forza di amori innocenti. Alle vicende dei protagonisti s’intersecano quelle minori che interessano la realtà cittadina di Holt, con la sua scuola, i suoi caffè, e le sue strade che assistono silenziose allo scorrere del tempo.

L’autore decide di lasciare lo stesso spazio ad ogni personaggio principale affidando a ciascuno di essi un capitolo e facendo in modo che la trama del romanzo s’intrecci attorno ad un pugno di figure in cui nessuno domina sull’altro, in uno stato di eterna paratassi.

La scrittura procede quieta in un testo sobrio, disadorno, essenziale che assume spesso i toni di un’epica ordinaria e commovente; un testo che si mescola a dialoghi che scorrono, privi di punteggiatura, con la stessa velocità della narrazione proiettata in una dimensione che associa un’estrema delicatezza a caratteri rigidi, irsuti, quasi animaleschi e che viene descritta senza un grammo di falso sentimentalismo.

“Canto della pianura” si innalza allora come un insieme di voci capace di evocare la tenerezza di ogni relazione della vita che, libera di qualsiasi artifizio, è costretta a passare per le realtà tanto crudeli quanto umane di attesa, parto e morte.

Con grande sapienza letteraria, Kent Haruf elabora un canto, quello degli altipiani di Holt, che ha tutta la potenza di una prosa elevata a poesia.

Stellina Mema

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