M. Coetzee, Aspettando i barbari

 “Aspettando i barbari” di John Maxwell Coetzee, vince, nel 2003, il Premio Nobel per la Letteratura.
S2_T2 - Aspettando i barbariIn una realtà in cui i pregiudizi offuscano la vista di tutti, facendo sbiadire poco a poco il confine tra giusto e ingiusto, un magistrato bianco, in una cittadina del Sudafrica, sarà pronto a schierarsi a favore di coloro che vengono definiti “barbari” e a compiere un concreto gesto di ribellione contro l’Impero, la cui ferocia contro gli indifesi cittadini nomadi sembra non avere limite.

Il linguaggio è semplice. Il messaggio profondo. Cosa è giusto? Cosa è sbagliato? Dove si trova il confine?

“Mi piace l’energia di questo giovanotto, la sua curiosità per il contesto nuovo della frontiera. Il fatto che sia riuscito a portare i suoi uomini fino qui in una stagione morta come questa è encomiabile. Quando gli altri due, vista l’ora tarda, se ne vanno, insisto perché si fermi. Rimaniamo a parlare e a bere fin dopo mezzanotte. Ascolto le ultime notizie della capitale da cui manco da tanto. Gli parlo dei luoghi ai quali penso con nostalgia: i parchi con i padiglioni dove le orchestrine suonano per la gente a passeggio e dove in autunno le foglie secche dei castagni frusciano sotto i piedi. Ricordo un ponte dal quale si vede il riflesso della luna sull’acqua che s’increspa intorno alle rocce sottostanti e prende la forma di un fiore di acacia.

– La voce che gira al comando generale, – mi racconta, – è che in primavera ci sarà una massiccia offensiva contro i barbari, per ricacciarli dalla frontiera sulle montagne.

Mi dispiace interrompere il flusso dei ricordi. Non voglio concludere la serata con una scenata. Però rispondo: – Sono certo che si tratta solo di voci. Non è possibile che vogliano veramente fare una cosa del genere. Quelli che chiamiamo barbari in realtà sono nomadi, ogni anno scendono dalla montagna in pianura. Non si lasceranno mai imbottigliare sulle montagne!

Mi guarda con un’espressione strana. Per la prima volta questa sera sento una barriera scendere tra noi, la barriera tra il militare e il civile.

– Ma d’altra parte, – dice, – se vogliamo essere franchi, a questo serve la guerra: a imporre una certa scelta a gente che altrimenti non la farebbe -.

Mi esamina col candore arrogante di un giovane diplomato dell’Accademia militare. Sono certo che gli è venuta in mente la storia, che ormai dev’essersi diffusa dappertutto, di come ho rifiutato la mia cooperazione a un ufficiale della Terza Divisione. Credo di sapere quello che vede davanti a sé: un piccolo amministratore civile, sprofondato, dopo anni passati in questa zona depressa, nei disgustosi usi degli indigeni, uno dalle idee superate, pronto a mettere a repentaglio la sicurezza dell’Impero per un’incerta pace quotidiana.

Si sporge in avanti, con un’aria infantile e deferente, perplesso. Sono sempre più sicuro che mi sta prendendo in giro.

– Mi dica, signore, in confidenza: di che cosa si lamentano questi barbari? Che vogliono da noi?

Dovrei usare prudenza, ma non lo faccio. Dovrei sbadigliare, essere evasivo, mettere fine alla serata, e invece mi sorprendo a rispondere alla loro provocazione. (Quando imparerò a tenere a freno la lingua?)

–  Vogliono che finiscano gli stanziamenti nella loro terra. Insomma, vogliono riprendersela, la loro terra. Vogliono essere liberi come una volta di muoversi con le greggi da un pascolo all’altro -.”